Partire vuol dire lasciare tutte le sicurezze per entrare nella
precarietà senza sapere quello che troverai lungo il percorso.
Lasciare tutto il superfluo che ingombra la nostra vita per ritrovare
l’essenzialità: tutto quello che ti serve sta nel tuo zaino e lo zaino deve
essere leggero.
Partire senza misurare il tempo e dopo appena tre o quattro giorni di
camino, subentra un senso di calma e di pace.
Tutto quello che occupava le
giornate sembra già lontanissimo.
La sola cosa da fare è andare, camminare.
Il poeta spagnolo Machado ha scritto una poesia sul cammino che dice:
Caminante, no hay camino,
se hace camino al andar.
Il cammino si scopre facendolo.
Intraprendere questo cammino significa abbandonare la quotidianità, ridurre il tuo stile di vita a poche e semplici cose.
Si impara a vivere insieme. Si condividono cose materiali in modo
spontaneo e naturale, acqua, cibo, medicine, cure, anche fastidi, come il
russare, lo stropiccio dei sacchetti di plastica alle 5 di mattina…
Si impara l’umiltà, aver bisogno degli altri, una parola, un consiglio,
un’indicazione, un sorriso.
Si fa tutto in leggerezza nel modo più semplice del mondo.
Si crea una comunicazione a livello profondo, spesso non si parla
di banalità.
Parlando si accoglie e si è accolti.
Una parola può essere detta, condivisa tra pellegrini perché si
condivide la stessa vita.
Il paradosso è che il Cammino di Santiago comincia al ritorno.
Andata e ritorno sono due viaggi differenti, al ritorno c’è un
cambiamento di prospettiva.
Si ritorna con il cuore e lo spirito leggeri. Si è più essenziali,
più tolleranti, più in pace con noi stessi.
Si torna diversi perché, parafrasando Etty Hillesum, abbiamo fatto
esperienza che si può essere capaci di vivere anche senza niente perché
c’è sempre un pezzetto di cielo da poter guardare.
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